IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Premesso che in data 7 novembre 1996 il pretore emetteva provvedimento con il quale dettava, ex art. 669-duodecies, le modalita' di concreta esecuzione del procedimento possessorio emesso in data 10 luglio 1996 nel procedimento iniziato da Scipioni Pietro nei confronti della ditta "Immobiliare Giuli" di Cofani Eugenio; che con ricorso ex art. 669-novies depositato in data 12 giugno 1997 il Cofani Eugenio lamentava che non era stato instaurato nei termini di legge il procedimento di merito; che all'udienza del 9 luglio 1997 lo Scipioni ed il Cofani precisavano le loro rispettive posizioni circa l'asserita inefficacia del provvedimento possessorio; che in particolare lo Scipioni ricordava l'orientamento di questo pretore secondo il quale il procedimento possessorio ha natura monofasica, ne' v'e' bisogno di un giudizio di merito. Tanto premesso questo pretore e' chiamato a decidere la questione dovendo in via preliminare stabilire quale sia il paradigma procedimentale da adottare in seguito al ricorso avanzato per la tutela del possesso, e se in particolare il provvedimento interdittale cui non sia seguito, nei termini, il giudizio di merito, conservi la sua efficacia. Se dovessimo applicare l'art. 669-octies c.p.c. nella sua interezza, la risposta sarebbe sicuramente negativa, proprio perche', come appena esposto, il giudizio "di merito" non e' stato introdotto. La Corte costituzionale ha avuto modo di occuparsi ripetutamente dei rapporti tra il procedimento possessorio e la disciplina del c.d. procedimento cautelare uniforme. In particolare, ha affermato che la "selettivita'" del rinvio operato dall'art. 703 agli artt. 669-bis e segg. c.p.c. dev'essere intesa nel senso dell'esclusione di quelle sole norme incompatibili con il carattrre del procedimento e con la struttura bifasica in cui esso si articola (ordinanze nn. 359/1996 e 125/1997). Ha anche sottolineato come l'asserire il venir meno - a seguito della novella - della fase di merito del procedimento possessorio nel solo caso del provvedimento di rigetto appare estraneo alla ratio della riforma, oltre che contrario agli indizi normativi, per cui il giudizio a cognizione piena non puo' essere escluso, meno che mai secundum eventum litis (ordinanza n. 203/1996). Va d'altro canto osservato che la c.d. concezione monofasica, che nega la possibilita' della fase di merito, a cognizione piena - concezione del tutto condivisibile sotto il profilo dell'opportunita', per le ragioni che si vengono ad esporre - cui ha fatto riscontro sopratutto nel primo periodo di entrata in vigore della novella, un assai consistente, se non maggioritario, indirizzo dei giudici di merito, non potra' non fare i conti da un lato con il richiamato orientamento interpretativo della Corte e dall'altro con alcune intrinseche debolezze della costruzione. Parlando di "debolezze", si intende fare riferimento: in primo luogo, alla scarsezza dei dati normativi su cui fondare tale concezione, abbondantemente sottolineata dai detrattori di questa costruzione teorica. Non si vede, infatti, come la novella possa aver comportato la monofasicita', se non tramite l'abrogazione del richiamo all'art. 689 c.p.c. nel testo dell'art. 703 c.p.c. con una modalita' di formulazione che risulterebbe quantomeno molto indiretta ed ambigua; in secondo luogo all'insussistenza di un preciso collegamento tra la negazione teorica del "merito possessorio", solitamente avversato dai sostenitori della monofasicita', e la necessarieta' di configurare come monofasico e non bifasico il procedimento. Tale ultimo punto merita ulteriore approfondimento. Nel procedimento possessorio antecedente alla novella, la negazione del c.d. merito possessorio era pressoche' sconosciuta alla giurisprudenza. Non cosi' in dottrina, ove gli autori che si segnalavano per tale negazione ancorche' isolati, risultavano particolarmente illustri. A seguito della novella, la subitanea presa di posizione di un consistente numero di giudici di merito a favore della monofasicita' e contro il giudizio di merito possessorio non ha mancato di essere sottolineata da un autore, sicuramente benevolo verso tale nuovo indirizzo, che pure non ha potuto fare a meno di segnalare, nello stesso titolo di un suo articolo, come, se era giusto quanto si veniva affermando circa il "merito possessorio", doveva essere affermato anche prima. Di talche' prendere spunto dall'entrata in vigore della novella, per affermare che il merito possessorio risultava abrogato dal dato positivo risultava e risulta puramente strumentale. Ma un'altro aspetto va sottolineato per rimarcare la mancanza di contiguita' concettuale tra la necessaria monofasicita' del procedimento e l'insussistenza di un merito possessorio. Si tratta della concezione secondo la quale il giudizio di merito conseguente al possesso non riguarderebbe il "merito possessorio" bensi' la situazione di diritto sottostante. Con riguardo a fattispecie disciplinata dal procedimento ante novella, tale concezione ha trovato adesione in una pronuncia della Corte di Cassazione (Cass., sez. II, n. 7665 del 13 luglio 1995). Nella predetta pronuncia si rinvengono, fra l'altro, le seguenti affermazioni: 1) la tutela possessoria e' un quid necessariante provvisorio e trova giustificazione nell'esigenza di ordine pubblico, di impedire che i cittadini si facciano giustizia da se'; 2) il configurare la sentenza in esito al giudizio di merito come avente ad oggetto sempre la situazione di possesso valutata dall'ordinanza giunge al risultato, processualmente inaccettabile, di un'ordinanza e di una sentenza che entrambe attribuiscono o negano, nello stesso giudizio, lo stesso bene della vita, decidendo sulla stessa domanda; 3) il successivo giudizio di merito, avente ad oggetto un'azione petitoria o un'azione personale (sempre comunque vertente su diritti), e' ad instaurazione meramente eventuale. Tale sentenza, sicuramente espressione di un'orientamento non univoco nell'ambito della stessa Cassazione, va peraltro interpretata come un sintomo delle difficolta' di dare precisa collocazione alla peculiare situazione con cui e' disciplinato il possesso e la sua tutela processuale nell'ambito dell'ordinamento. Di tale problematicita' si e' parzialmente fatta carico la Consulta con la sentenza n. 25/1992. Questo pretore, rilevata la precarieta' della concezione monofasica del procedimento possessorio la quale sia fondata sul solo dato normativo, ritiene nondimeno che tale monofasicita' sia nondimeno resa necessaria dal rispetto di principi costituzionali. Prendendo le mosse dalla parziale pronuncia di incostituzionalita' sopra richiamata, va osservato che il giudice rimettente aveva rimarcato come la tutela possessoria fosse costituzionalmente giustificata solo nella misura in cui accorda una tutela rapida al proprietario. La Corte aveva invece osservato che risultava insostenibile la premessa di una pretesa illegittimita' costituzionale del principio di autonomia del possesso rispetto alla proprieta': ed infatti la tutela possessoria risponde all'esigenza di ordine pubblico che siano prontamente ripristinate "situazioni soggettive di fatto" arbitrariamente modificate da un terzo senza previo accertamento, giudiziale o negoziale, dello stato di diritto. D'altro canto, argomentava sempre la Corte, la tutela possessoria, proprio perche' interinale, non privava il proprietario della tutela giurisdizionale, ma la rinviava soltanto ad un giudizio successivo, avvantaggiando peraltro lo stesso proprietario consentendogli di fruire di un rimedio rapido, che non richiede la prova del diritto. La questione di legittimita' costituzionale doveva porsi, proseguiva la Corte, nell'ambito piu' limitato se il detto divieto fosse conforme ai parametri costituzionali nell'ipotesi in cui dall'esecuzione del provvedimento possessorio derivasse o dovesse derivare, secondo un giudizio di pericolo, un danno irreparabile al convenuto, proprietario o titolare di altro diritto reale sulla cosa. Occorre ora vedere quale sia il quadro attuale. Va premesso che permane in ogni caso il dubbio sulle seguenti questioni. Quale sia il giudizio di merito che occorre introdurre dopo la fase sommaria: nemmeno la Corte costituzionale, nelle ordinanze sopra richiamate, prende esplicita posizione sull'oggetto specifico di tale giudizio di merito, se cioe' rimanga, secondo l'insegnamento tradizionale, il "merito possessorio" ovvero il rapporto giuridico sottostante, come afferma Cass. 7665/1995, cit. La Corte si limita a ribadire la necessarieta' di tale procedimento di merito ("fase di merito del procedimento possessorio": v. ord. 203/1996, cit.). In che termini si ponga il disposto dell'art. 669-octies c.p.c. rispetto alla "fase di merito del procedimento possessorio", posto che in ogni caso, sia di provvedimento positivo che negativo, tale fase e' necessaria. Ed infatti, richiamata la "selettivita'" del rinvio sottolineato dalla Corte, nulla esclude che tale selettivita' operi nel senso di escludere l'applicabilita' dell'intero articolo. Com'e' noto, nella disciplina ante-riforma, l'unificazione delle due fasi era pacificamente ammessa (v., da ultimo, Cass. n. 8896 del 28 ottobre 1994). Come possa coordinarsi - nel caso debba invece ritenersi la piena applicabilita' dell'art. 669-octies c.p.c.la necessita' esplicita di iniziare il giudizio di merito entro un termine perentorio nel caso di provvedimento positivo, con la mancanza di qualsiasi indicazione normativa circa tempi e modi dell'introduzione della fase di merito - parimenti necessaria - a seguito di provvedimento negativo. Costituisce poi ovvia considerazione, gia' fatta dagli interpreti ma che nondimeno deve qui ribadirsi, quella secondo cui, in relazione alle varie "forme di appartenenza" ovvero di quei collegamenti tra l'uomo ed i beni, gia' presi in considerazione dal mondo del diritto le forme di tutela apprestate dall'ordinamento non sono tutte espandibili "ad libitum", ma hanno ben precisi limiti derivanti dal fatto che tutto cio' che l'ordinamento appresta quale rimedio in riguardo di una ben precisa situazione, viene, quale mezzo concreto, ad essere sottratto ad altra situazione soggettiva. In altre parole, e per usare i termini di autore occupatosi ex professo della materia "i vantaggi sociali ottenuti con la duplice e contrastante protezione del titolare e del possessore si pagano a caro prezzo, mediante l'istituzione di itinerari processuali multipli, che condizionano le parti ad esperire due, o anche tre, diversi giudizi, di cui l'ultimo, petitorio, sara' proceduto da uno o piu' giudizi possessori". Ma in alcuni casi, si potrebbe aggiungere, le forme di tutela del possesso potrebbero risultare cosi' irriazionali, nell'ambito di una determinata costruzione, da essere piu' nocive che utili per lo stesso possessore (per lo stesso possessore non proprietario, si badi). Sotto molteplici profili, l'obbligo di instaurare un giudizio di merito allunga oltre la misura costituzionalmente consentita la tutela del possesso. Il possesso e' una situazione di fatto e non di diritto, ne' puo' altrimenti qualificarsi. In ogni caso, anche qualificandolo quale diritto vero e proprio, cio' non muterebbe in nulla la sua peculiarita' rispetto alle altri posizioni giuridiche soggettive, dal momento che da esso derivano situazioni ed istituti alquanto eterogenei (usucapione, acquisto dei beni mobili secondo la regola "possesso vale titolo", azioni possessorie, ecc.). Nel sottolineare la sua giustificata autonomia rispetto al diritto di proprieta' la stessa Corte costituzionale non esita a ricorrere all'espressione "situazioni soggettive di fatto arbitrariamente modificate", proprio parlando della tutela possessoria (v. sent. 25/1992, cit.). Ne consegue che il possesso viene ad essere considerato dalla Costituzione solo in via del tutto indiretta, potendo ricevere tutela ex art. 24, comma primo della Costituzione. Trattasi, a ben vedere, di una previsione che fa riferimento alla legge ordinaria, vale a dire alle norme codicistiche che prevedono la tutela possessoria. Ovviamente ben diversa e' la tutela che riceve il diritto di proprieta', direttamente considerato nell'art. 42 della Costituzione. Ma, in ogni modo, quel che qui si vuole sottolineare e' che la tutela del possesso articolata in due fasi e cosi' come sopra delineata, non solo diviene un ostacolo del tutto ingiustificato per la posizione del proprietario-non possessore, ma e' idonea a ledere in maniera altrettanto ingiustificata anche la posizione del proprietariopossessore (e fors'anche come sopra si e' accennato, quella del possessore tout court, del possessore-non proprietario). Se la prima, anche se non l'unica, ragione per cui si prevede la tutela possessoria appartiene all'ordine pubblico, appare ovvio che in tanto appare giustificabile la predetta tutela in quanto sia apprestata per il periodo strettamente funzionale all'immediatezza e alla brevita' della reazione allo spoglio ed alla molestia. In questo contesto, non appare in alcun modo giustificabile imporre una successiva fase processuale che preclude al proprietario non possessore di far valere il proprio diritto dominicale con apposito giudizio, stante la preclusione di cui all'art. 705 c.p.c. (sopratutto se si considera che tale preclusione opera sino a quando il procedimento possessorio non si e' concluso in tutte le sue fasi, comprese quelle di gravame, come da giurisprudenza costante nella vigenza del vecchio rito). Ne' puo' considerarsi sufficiente per un'adeguata garanzia a livello costituzionale il temperamento apportato dalla sentenza n. 25/1992, cit., in quanto non solo la perdita irreversibile del bene o del diritto reale appare costituzionalmente ingiustificata, ma anche l'inaccettabile protrarsi, oltre la prima fase sommaria, delle preclusioni a favore del procedimento possessorio e a discapito di chi ha interesse che il proprio diritto sia accertato. Ma anche il proprietario che sia nello stesso tempo possessore potrebbe benissimo avere tutto l'interesse ad accontentarsi dell'interdetto nei confronti di chi ha violato la situazione di possesso, ne' si vede perche' dovrebbe sobbarcarsi inutilmente un altro oneroso processo di cognizione, a pena di veder persa l'efficacia dell'interdetto concesso. Anche, qui, non v'e' alcuna giustificazione razionale per imporre la seconda fase, anzi viene in maniera evidente frustrato l'originario intento di assicurare al possessore, unitamente ad una pronta reazione dell'ordinamento, un adeguato ristoro nell'immediato. E d'altro canto viene imposto, altrettanto irragionevolmente, a chi il possesso ha violato, di doversi far carico, per il principio della soccombenza, delle spese di un duplice giudizio o, se si vuole, di un procedimento bifasico molto piu' lungo e complicato (e quindi piu' dispendioso) di quello monofasico. Se poi si accede alla tesi secondo la quale la seconda fase del procedimento possessorio e' giudizio di merito sul diritto e non sul "merito possessorio", abbiamo allora il completo paradosso cui sopra si faceva cenno, per cui anche il possessore-non proprietario viene ad essere penalizzato dallo stesso modo di tutela del possesso, dal momento che agisce in possessorio ed ottiene temporaneamente un provvedimento ripristinatorio e per lui favorevole, per poi essere obbligato ad introdurre un giudizio di merito (o subirlo da controparte, nell'ottica di una bifasicita' comunque necessaria) che sa benissimo essere su un diritto che non gli appartiene (e sul quale soccombera'). Con il che il possessore-non proprietario finisce per attivare una sorta di giurisdizione di diritto oggettivo, in quanto ricorrere in possessorio ha per lui interesse solo per i provvedimenti interdittali provvisori, che ben presto verranno travolti o dall'inefficacia conseguente alla decorrenza del termine o dalla statuizione sul merito (sul diritto) a lui sfavorevole. Egli finisce, in altre parole, per essere attore a tutela di interessi che rimangono solo di ordine pubblico, in relazione ad un processo il cui esito finale non potra' mai essergli favorevole. Altrettanto gravi sono le conseguenze derivanti dalla struttura bifasica del procedimento possessorio sotto altri profili, i quali attengono alla stessa possibilita' di inserimento del procedimento possessorio nell'ambito del procedimento cautelare uniforme. Punto fondamentale a tal proposito e' se debba essere applicato o meno l'art. 669-octies c.p.c. Nel caso in cui esso non trovi applicazione ne deriva necessariamente la possibilita' di unificare il procedimento sommario con il giudizio di merito, il che, come sopra ricordato, era pacificamente ammesso prima della novella. Infatti, permanendo la natura bifasica e non sussistendo preclusioni temporali per l'instaurazione del giudizio di merito (preclusioni ricollegabili al termine perentorio di cui all'art. 669-octies), l'opzione appena richiamata appare del tutto naturale. Ma, in tal modo, diventa meramente apparente la stessa applicabilita', al procedimento possessorio, dell'art. 669-sexies c.p.c., dal momento che le previsioni di tale articolo appaiono incompatibili con l'unificazione delle due fasi. L'istruzione ed il provvedimento emesso all'esito della stessa appartengono alla fase sommaria e non tollerano, nel rito cautelare uniforme, di essere unificati con il procedimento di merito. Con il che diventa puramente apparente anche il richiamo operato dall'art. 703 c.p.c. agli art. 669-bis e segg., dal momento che ciascuno di questi articoli ha, rispetto al procedimento possessorio, gia' specifica e diversa disciplina: l'art. 669-ter c.p.c. non si applica, essendovi l'art. 8 c.p.c., l'art. 669-quater non si applica, non si applicherebbe nemmeno l'art. 669-sexies in quanto, come appena detto, l'unificazione dei procedimenti e' incompatibile con esso. Stesso discorso per il 669-septies, dal momento che prevede il provvedimento di rigetto escludendo l'instaurazione del giudizio di merito, e cosi' anche l'opties in quanto costituisce l'ipotesi di partenza; idem il 669-novies, almeno in parte, dal momento che sanziona il mancato inizio del giudizio. Ma, si ripete, in tal modo il riferimento dell'art. 703 agli artt. 669-bis e segg. appare svuotato di qualsiasi significato e il legislatore della novella avrebbe rimosso in gran parte la disciplina precedente (salvo il 704 c.p.c., che pure pone altri problemi sistematici, come si dira') per sostituirla con... il nulla assoluto. Se invece si ritiene applicabile l'art. 669-octies, sorgono notevoli problemi di altra natura. Ed infatti, sussisterebbe in ogni caso una stridente disparita' tra l'ipotesi di accoglimento e l'ipotesi di rigetto dell'interdetto provvisorio. Tale disparita', sia pure non sussistente in relazione alla possibilita' della fase di merito per il solo caso di accoglimento del provvedimento in esito al giudizio sommario, dal momento che la stessa Consulta ha ritenuto che la fase di merito sussiste in ogni caso, sia a seguito dell'accoglimento che a seguito del rigetto, verrebbe in ogni modo a sussistere in relazione alle modalita' profondamente difformi in cui il giudizio di merito dovrebbe introdursi. Mentre nel caso di provvedimento positivo, il giudizio di merito dovrebbe essere introdotto entro il termine perentorio di cui all'art. 669-octies c.p.c., a pena d'inefficacia ex art. 669-novies c.p.c., non si vede in che termini dovrebbe essere introdotto tale giudizio di merito nel caso di provvedimento negativo. Ed infatti si prospettano le seguenti ipotesi: per analogia o interpretazione estensiva tale giudizio dovrebbe pur sempre essere introdotto entro i 30 gg. di cui all'art. 669-octies c.p.c. Ma, anche a voler prescindere dall'assoluta incertezza su chi sia gravato da tale adempimento (se ricorrente o resistente in possessorio) resta il fatto che non sussiste alcun tipo di sanzione idonea a rendere effettiva tale possibilita': se resta inerte il resistente, egli ha tutto l'interesse a farlo, dal momento che ha gia' ottenuto un provvedimento a lui favorevole, ne' possono inventarsi per lui sanzioni speciali del tutto al di fuori dal sistema normativo; se resta inerte il ricorrente, non si vede quale conseguenza giuridica sfavorevole si potrebbe ricollegare alla sua inerzia, ne' quale incentivo avrebbe lo stesso, sempre a non voler configurare situazioni del tutto estranee al diritto positivo; l'iniziativa di introdurre il giudizio di merito dovrebbe essere attivata ex officio: ipotesi anche questa quanto mai lontana da ogni collegamento con la normativa, anche perche' l'iniziativa officiosa circa l'azione nel processo civile e' ipotesi del tutto eccezionale. Ne consegue che la disparita' di situazioni tra il provvedimento di accoglimento e provvedimento di rigetto sussisterebbe comunque in relazione alla diciplina della fase di merito, nei termini sopra prospettati ed in maniera del tutto ingiustificata. Non puo' essere, infine, trascurata, al fine di denunciarne l'assoluta superfluita' ed incongruita', la questione del "merito possessorio", che rimane ancora, per la maggior parte degli interpreti, l'oggetto della seconda fase del procedimento possessorio. Una volta che il Pretore ha negato o concesso l'interdetto, che ha disposto o meno il materiale ripristino della situazione preesistente, il merito possessorio oggetto del successivo (necessario) giudizio di cognizione non ha alcuna altra ulteriore autonoma funzione. Il relativo giudizio non puo' essere che un mezzo per esaminare la questione in maniera piu' approfondita cioe' con i mezzi istruttori che sono propri del giudizio di cognizione piena. Ma da un lato questa appare una motivazione troppo debole per giustificare di per se' solo la seconda fase, dall'altro non e' affatto detto che l'approfondimento di determinate situazioni debba necessariamente essere rinviato ad una fase successiva (ad un successivo indefettibile giudizio di cognizione). Se anzi si pone l'attenzione sulla principale funzione che tradizionalmente ha avuto la tutela possessoria, non puo' non osservarsi che riveste un interesse fondamentale per le aspettative dei privati che controvertono sul possesso, l'accertamento della situazione di fatto gia' nella fase c.d. sommaria, mentre residuerebbe solitamente un ben piu' attenuato interesse quello che si incentra nella tutela fondata su di una sbrigativa cognizione, incerta perche' spesso inevitabilmente incompleta nei suoi tratti essenziali, nei suoi diversi rilevanti aspetti e, in definitiva, esposta al grave rischio di non vedere confermati i suoi esiti provvisori alla stregua delle risultanze del giudizio di cognizione ordinaria: non va dimenticato che il valutare adeguatamente tutti gli aspetti relativi al possesso puo' costituire un'indagine estremamente complessa. Ne' puo' fondarsi l'autonomia del "merito possessorio" oggetto del giudizio di cognizione nella presenza, accanto alla richiesta di conferma o modifica dei provvedimenti gia' provvisoriamente emessi, di altre domande quali, ad es., quella concernente il risarcimento dei danni derivanti dalla lesione del possesso. La relativa domanda rimarrebbe oggetto di un capo autonomo della statuizione e d'altro canto l'interessato, anche quando ne ricorrano i presupposti per l'accoglimento (e non sempre ne ricorreranno, si pensi al possesso avente origine illecita o violenta), potrebbe sempre scegliere se chiedere o meno tale risarcimento. Se si vuole trovare un elemento indefettibile che mai potrebbe mancare nell'asserita seconda fase del procedimento possessorio, esso non puo' che essere identificato nella richiesta di quelle stesse statuizioni che sono state concesse o negate nella prima fase. Ed ancora, non appare obiezione decisiva quella secondo cui, eliminando la fase del successivo giudizio a cognizione piena, il procedimento possessorio sarebbe l'unico dei procedimenti speciali previsti dal nostro ordinamento processuale non suscettibile di oltrepassare in alcun caso la fase del rito sommario. A prescindere dalla considerazione secondo la quale tale obiezione ha carattere meramente classificatorio (considerazione certo non decisiva, ma neppure da poter trascurare: e se il procedimento possessorio, come avanzato da ultimo da certa dottrina, attingesse piuttosto a quelle esigenze che sono proprie della volontaria giurisdizione, con conseguente definitivita', o meglio completezza, della statuizione?) va osservato che tale particolarita' del rito sarebbe in ogni caso ricollegabile alla peculiarita' della situazione soggettiva tutelata, peculiarita' che non puo' sicuramente negarsi alla tutela possessoria. E in ogni caso, non si tiene conto che c'era e rimane ancora, dopo la novella, una ben precisa norma costituita dal secondo comma dell'art. 704 c.p.c. Tale norma stabilisce che al pretore, in caso di giudizio petitorio gia' pendente, puo' domandarsi la reintegrazione del possesso, in tal caso egli da' i provvedimenti temporanei indispensabili e rimette le parti davanti al giudice del petitorio. E' chiaro che il pretore, dopo aver dato o negato i provvedimenti temporanei indispensabili, non dovra' emettere alcun altra pronuncia, meno che mai quella riguardante il "merito possessorio". Ne' puo' affermarsi che il giudice del petitorio sia in alcun modo investito, dopo i provvedimenti emessi dal pretore, del "merito possessorio", unitamente all'oggetto del giudizio petitorio. In questo caso specifico, non c'e' alcun "merito possessorio" dopo la pronuncia sui provvedimenti indispensabili, c'e' solo il giudizio sul diritto. Il che rappresenta un'altra conferma, alla luce del diritto positivo, che la tutela possessoria puo' benissimo prescindere dalla successiva instaurazione di un giudizio avente ad oggetto il "merito possessorio". Riassumendo, la sussistenza di un procedimento di cognizione ordinaria, necessario dopo la fase introdotta con ricorso ai sensi dell'art. 669-bis c..p.c., risulta lesiva dei principi costituzionali sotto i seguenti profili: 1) se si ritiene applicabile al procedimento possessorio l'art. 669-octies c.p.c., sussiste un'ingiustificata disparita' di trattamento circa le modalita' di introduzione del giudizio di merito, tra l'ipotesi di accoglimento e quella di non accoglimento del provvedimento interdittale, come sopra evidenziato. In nessun modo si puo' ovviare a tale disparita' e cio' comporta la lesione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., il quale viene altresi' violato, sempre in tale ipotesi, in quanto non e' possibile assicurare in alcun modo - razionalmente accettabile alla stregua del dato normativo -, la stessa possibilita' di introdurre il giudizio di merito nel caso di rigetto della richiesta ed essendo quindi vulnerato il principio di ragionevolezza; 2) se invece non si ritiene applicabile l'art. 669-octies c.p.c., al procedimento possessorio, il rinvio operato esplicitamente dall'art. 703 c.p.c. rimane privo di significato, essendovi in pratica per ciascuno degli articoli introdotti dalla novella e che disciplinano il procedimento cautelare uniforme (con l'eccezione del solo 669-bis il quale, da solo, ha ben poco significato) una disciplina specifica ed in tutto o in parte contrastante con i predetti articoli. Violandosi ulteriormente il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.; 3) viene lesa la posizione, costituzionalmente garantita, del proprietario non possessore. Egli e' costretto non solo ad attendere l'esito del ricorso possessorio - il che sarebbe perfettamente compatibile con le ragioni di autonoma tutela del possesso - ma altresi' ad attendere l'esito del giudizio di merito, comprese le fasi di gravame, vedendo procrastinato il suo diritto di tutela della proprieta' - che non puo' in alcun modo equipararsi al diritto di tutela del possesso, trovando garanzie costituzionali ben piu' forti ed esplicite - all'esito di giudizi di cognizione notoriamente non brevi. Cio' a prescindere dall'"irreparabilita' del danno" di cui alla sentenza n. 25/1992 ed anzi dovendosi osservare che, oltre un certo limite temporale, il danno alla proprieta' diviene comunque difficilmente ristorabile ex post. Violandosi l'art. 42 Cost.; 4) viene lesa la posizione anche del proprietario che sia contemporaneamente possessore e agisca proprio per la tutela del possesso, in quanto egli ha solo l'interesse a che la situazione quo ante sia prontamente ripristinata e, normalmente, sara' del tutto indifferente ad un successivo giudizio che invece gli vien fatto obbligo di iniziare. Obbligando tale soggetto a farsi carico di tale successivo giudizio si duplicano inutilmente i mezzi di tutela giudiziaria, venendosi anche ad appesantire in maniera intollerabile ed ingiustificata il sistema giudiziario nel suo aspetto organizzativo (inutile duplicazione di fascicoli, cause iniziate in maniera strumentale ed al solo fine di non perdere l'efficacia del provvedimento possessorio gia' emanato, ecc.) con lesione del principio del buon andamento della p.a. di cui all'art. 97 Cost., applicabile anche al sistema giudiziario secondo la giurisprudenza della stessa Corte cost.; 5) se si accede alla tesi secondo la quale il giudizio di merito non verta sul "merito possessorio", bensi' sulla situazione di diritto, viene lesa la posizione soggettiva anche del possessore non proprietario, nei termini sopra esposti. Venendo cosi' leso: a) il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., approntandosi irrazionalmente al possessore una tutela necessariamente destinata ad essere neutralizzata dagli esiti del giudizio di merito, e pertanto non tutelandosi affatto il possesso quale situazione autonoma, qual'era nelle premesse interpretative accolte da tutti gli interpreti e dalla stessa Corte Cost. con la sentenza n. 25/1992 piu' volte citata; b) violandosi il diritto del mero possessore ad avere una tutela, ancorche' provvisoria ma che pure ben potrebbe essere destinata a stabilizzarsi in assenza di una necessarieta' del prosieguo della controversia. Con violazione dell'art. 24 Cost., in quanto nessuna effettiva tutela verrebbe approntata al mero possessore; 6) l'assoluta indeterminatezza ed incongruita' del "merito possessorio", quale oggetto per eccellenza del giudizio di merito secondo l'insegnamento tradizionale, comporta che sia inficiata da irrazionalita' tutta la procedura che presuppone la necessaria delibazione di tale "merito possessorio". Con ulteriore violazione dell'art. 3 Cost.